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La Commander Starlight coupé (1947), prima auto disegnata da Exner nel dopoguerra.

Chrysler Connection

Creta, plastilina e prototipi, alla base della collaborazione tra Chrysler e Ghia. I modelli in scala sviluppati a Detroit, venivano inviati alla Ghia per essere prodotti in lamiera.
Molti di essi rimasero solo prototipi

Su epocAuto di agosto - a firma di Marco Batazzi

La storia della Chrysler e delle sue connessioni con l’Italia risale all’immediato dopoguerra: i primi contatti avvennero – guarda caso – tra la Fiat e la Chrysler nel 1950, quando la prima chiese di inviare in America alcuni tecnici a completare la formazione sui macchinari e le tecniche di costruzione più moderne. In cambio la Chrysler avrebbe trovato a Torino la necessaria scuola per migliorare lo styling delle proprie vetture e per questo aveva avviato contatti con Pininfarina e Ghia, per poi scegliere quest’ultima. Per gestire questa nuova joint-venture con la Chrysler, Felice Mario Boano, che dirigeva la Ghia su incarico della vedova del fondatore, ingaggiò Luigi Segre (allora alla Siata), e insieme andarono in America, dove in breve tempo strinsero una sincera amicizia con C.B.Thomas, allora vice-presidente della Chrysler.
Il primo lavoro fu eseguito su un telaio Plymouth, vestito con una pesante e formale carrozzeria a sei luci, chiamata XX-500: una vettura in puro stile ministeriale, poi riverniciata in tinta metallizzata chiara ed equipaggiata con ruote a raggi, meno tristi. Chrysler apprezzò la qualità e l’abilità delle maestranze italiane, e soprattutto seppe apprezzare il costo della manodopera, molto contenuto rispetto a quelli d’oltreoceano al punto da rendere appetibile la soluzione di far costruire in Italia le concept car dell’epoca, che sarebbero costate da 7 a 10 volte di più se realizzate a mano sul suolo americano...

 

 

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Una cabriolet a 4 posti Flight Sweep I immatricolata negli Stati Uniti con i cerchioni in lega.

 L'articolo completo è su epocAuto di AGOSTO

 

 

 

 

 

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