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Il secondo esemplare della Mirage impeccabile nella sua livrea grigio chiaro metallizzato, sfila al Concorso di Eleganze di Villa d’Este nel 2009. Indubbiamente una delle migliori realizzazioni della carrozzeria Ghia.

Momo Mirage
Modena, 1971-1972

Un altro bel sogno che inizia con consistenti capitali e precise direttive tecniche, che però si infrange presto contro varie avversità

Su epocAuto di ottobre - a firma di Nino Balestra

Gli anni Sessanta del ‘900 sono gli anni della corsa, non all’oro, ma alla Gran Turismo italiana. Sono soprattutto gli americani che cercano in Italia la soluzione ai loro sogni, ma anche altri tentano la medesima strada. Gli ingredienti principali sono un bel telaio ed una stupenda carrozzeria, realizzata dai maestri italiani, sui quali innestare una potente meccanica USA. Grande cilindrata, molta potenza, bassi costi di acquisto. Facile, anzi facilissimo. Per gli americani è anche questione di costi di manodopera, in Italia un quarto dei costi americani.
Ci provò nei primi anni Cinquanta Carlo Dusio con i prototipi Cisitalia Ford 808XF, dopo accordi preventivi con Henry Ford stesso, su quella strada si mise anche la IsoRivolta, tentò Reisner con la sua Intermeccanica che provocò disastri, ci riuscì, caso unico, Alejandro De Tomaso con la Pantera.
Uno dei tanti, con idee chiare, capitali ingenti alle spalle e preparazione tecnica, è l’americano Peter Kalikow, facoltoso imprenditore, che chiede consiglio all’amico Alfred Momo, preparatissimo ex agente della Jaguar e dirigente della nota scuderia Cunningham. Dopo molti ragionamenti, riflessioni ed ipotesi danno concretezza ai loro sogni che andavano maturando da anni. Entrambi sono amanti delle auto sportive e mille volte hanno ragionato sull’auto ideale, senza mai trovarla fra quelle in produzione...

 

 L'articolo completo è su epocAuto di OTTOBRE

 

 

 

 

 

 

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