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La Ferrari Breadvan in una immagine che mette in evidenza il suo "culo alto". Crediti fotografici Ferrari S.p.a.

"Kamm Theory" e ... Furgoni del pane

Marco Giachi ci presenta uno dei suoi studi sull'aerodinamica

Le Mans, aprile 1962, prove della 24 Ore che si disputerà a giugno: c’è un grande stupore nell’aria perché la vettura numero 16, una delle creature più bizzarre che si siano mai viste da quelle parti, sta facendo registrare prestazioni superiori a molte sue colleghe dalle forme decisamente più convenzionali. Qualcuno, addirittura, vorrebbe che venisse squalificata adducendo strane motivazioni come una verniciatura impropria e una visibilità posteriore insufficiente, sembra quasi di essere in una storia fantastica di Michel Vaillant (il personaggio dei fumetti magistralmente disegnato da Jean Graton), invece è tutto tremendamente vero.
La vettura è iscritta dalla Scuderia Serenissima, sostenuta dal Conte Giovanni Volpi di Misurata già coinvolto nell’affare ATS, ed è stata progettata da uno degli ingegneri fuggiti dalla Ferrari al momento della diaspora dell’anno prima, che risponde al nome di Giotto Bizzarrini, livornese. I piloti sono Colin Davis e Carlo Maria Abate e, piano piano, la storia di quella buffa vettura comincia a circolare nel paddock. Qualche francese spiritoso le affibbia il nome di “Camionette”, “Breadvan” per gli inglesi, ovvero “Furgone del Pane” per quella sua forma che richiama alla mente più un mezzo da lavoro che da corsa. Si scopre che tutto è iniziato quando il Commendatore si è rifiutato di vendere una 250 GTO al Conte perché egli aveva assunto all’ATS molti dei tecnici fuggiti dalla Ferrari, e allora il Conte ha furbescamente ingaggiato l’ingegnere livornese per realizzare una vettura che potesse, per rivalsa, battere quelle Ferrari negate. Il tempo era veramente poco e l’unica base disponibile da cui partire era una vecchia 250 SWB (tipo 539) acquistata tempo addietro. Per sua fortuna, Giotto Bizzarrini, uscendo dalla Ferrari, aveva lasciato il prototipo di una vettura da lui disegnata secondo certe idee che aveva in testa e fu facile, per lui, riapplicare gli stessi concetti (anche sviluppandoli) per modificare, in fretta e furia, la vecchia SWB del Conte, abilmente coadiuvato dalla Sports Cars di Piero Drogo, con il supporto della Neri & Bonacini di Modena, giusto in tempo per partecipare alle prove della 24 Ore di Le Mans.
Dal punto di vista della carrozzeria il concetto fondamentale di Giotto era chiaro e si riassumeva in quattro parole, con la semplicità e l’efficacia tipica dei toscani: “muso basso e culo alto”… mezzo secolo di studi di aerodinamica dei più prestigiosi centri di ricerca così riassunti. Giotto Bizzarrini aveva capito (penso ci fosse in questo anche lo zampino degli altri “pezzi da novanta” che popolavano l’Ufficio Tecnico della Ferrari prima della “Grande Fuga” del ‘61, gente come Carlo Chiti e Giampaolo Dallara) che la parte posteriore è molto importante per l’aerodinamica di tutta la vettura e controlla sia la resistenza che il carico verticale (quella che in tempi più recenti sarebbe diventata la “downforce”)...

 

 

  Articolo completo su epocAuto di MARZO 2023 a firma di Marco Giachi

 

 

 

 

epocauto 5 2023

 

 

 


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